PALERMO. È un Paolo Borsellino amaro, disincantato, consapevole dei rischi corsi e di «non sapere fare i miracoli» ma anche dell’inutilità di un lavoro perennemente controcorrente, in uno Stato distante, quasi infastidito da «questi che si ostinano a rompere le scatole con la lotta alla criminalità mafiosa», istituzioni in cui c’è chi pensa che «addirittura si stava meglio prima» e che il fenomeno mafioso fosse solo «quello che c’è dentro l’aula del maxiprocesso». Senza...
la provenienza: La Nuova di Venezia