mining cryptocurrency

Lo scorso anno era stato l’anno d’oro della blockchain con criptovalute ed NFT (Non-Fungible-token) segnati da una crescita a due cifre, tanto da far impallidire gli investitori dei prodotti finanziari tradizionali. Ma adesso il vento sembra essere cambiato. Dall’inizio del 2022, sui mercati delle criptovalute sono aumentate enormemente le vendite, nel gergo finanziario un sell-off, che ha fatto registrare per Bitcoin ed Ethereum, le due più famose crypto, delle perdite di oltre il 20% nell’arco di poche settimane.

Al di là delle analisi finanziare e dei cambiamenti ciclici di mercato: investitori meno propensi al rischio dopo due anni di crescita dei mercati, aumento tassi di interesse della Fed (Federal Reserve), potrebbe essere arrivato il momento per questi prodotti finanziari di registrare nel loro prezzo i danni sociali e i problemi ambientali connessi alla loro diffusione in crescita.

Perché per molti le criptovalute stanno diventando troppo rischiose o vengono addirittura vietate? Quali sono i rischi che comportano?

Le criptovalute dalle periferie del web alle tasche dei risparmiatori

Le criptomonete sono al 100% digitali, basano la loro legittimazione sulla crittografia resa possibile dalla tecnologia della blockchain (il registro distribuito delle transazioni in criptovaluta) e sono a lungo rimaste per molti una sorta di misterioso prodotto di qualche apprendista stregone del web o, nel migliore dei casi, di speculatori di borsa. Ma, dalla nascita del loro capostipite, il Bitcoin, nel 2008 sono andate moltiplicandosi ed espandendosi ad aree sempre più vaste della rete fino ad arrivare ad essere facilmente disponibili come prodotto finanziario anche ai piccoli risparmiatori. Questa grande versatilità e pervasività e la vera e propria esplosione delle Altcoin (criptovalute alternative a Bitcoin) sta però mettendo in allarme i governi di diversi stati per i pericoli annessi al loro utilizzo.

Ecco una breve scansione temporale dei momenti salienti per Bitcoin:

  • • 2008 Pubblicato il documento che spiega il funzionamento della blockchain di Bitcoin
  • • 2009 – il Bitcoin inizia ad esser minato
  • • 2010 – Prima transazione per l’acquisto di beni con Bitcoin (2 pizze per 10.000 Bitcoin)
  • • 2013 – Nasce Ethereum, oggi la seconda criptovaluta al mondo per capitale di mercato
  • • 2017 Il valore di 1 Bitcoin supera i 1.000 dollari
  • • 2021 El Salvador adotta il bitcoin come moneta a corso legale

Le rivolte in Kazakistan per il caro energia e il legame con le criptovalute

Secondo paese al mondo (dopo gli Stati Uniti) per consumo energetico legato al mining, il Kazakistan ha visto schizzare alle stelle il costo dell’energia nel paese, che sono stati l’innesco per la successiva destabilizzazione della situazione politico-sociale in queste ultime settimane. Le criptovalute sembrano essere uno dei responsabili nascosti del caro energia.

La congiuntura della domanda per il riscaldamento invernale, le tensioni geopolitiche tra Russia ed Europa e l’utilizzo per le criptovalute ha portato a un raddoppiamento improvviso del prezzo del GPL nelle scorse settimane. Questo ha scatenato le proteste di popolazione stremata dal caro energia.

Ma perché le criptovalute usano energia? Pur se totalmente virtuali, le transazioni che interessano questa innovativa forma di pagamento richiedono un grande dispendio energetico. Le operazioni sul registro distribuito, la blockchain, richiedono per essere effettuate la soluzione di complessi problemi di calcolo risolvibili solo grazie a un numero enorme di server, la cui alimentazione richiede appunto energia.

Queste attività, che generalmente nel gergo delle cripto viene definita mining (ovvero estrarre criptovaluta), è diventata nel tempo sempre più remunerativa per il crescente valore delle criptovalute, ma anche energeticamente dispendiosa. Il solo Bitcoin consuma circa 130TWh, il nostro paese ne consuma 286TWh! Questo aspetto, insieme alle problematiche legate all’anonimato di chi possiede questo denaro virtuale, hanno portato il governo di Pechino, dove avveniva la maggior parte del mining mondiale a vietare del tutto l’utilizzo delle criptovalute sul suolo cinese, dichiarandole illegali.

L’industria energivora del mining e i rischi ambientali

La possibilità di utilizzare la blockchain (catena di blocchi di operazioni) consente alle criptovalute di poter essere operate senza la necessità di un organismo centrale di controllo, ma una copia del registro delle transazioni viene condivisa da tutti i “nodi”, ovvero dei computer della rete. Questo meccanismo di emancipazione dal controllo statale o di un’altra autorità ha un costo, che è in primo luogo energetico. È stato calcolato, infatti, da studi di settore che se tutte le transazioni dovessero essere registrate con il protocollo che utilizza Bitcoin attualmente difficilmente si riuscirebbe a contenere la temperatura globale al di sotto dell’aumento dei due gradi entro il 2050, data oramai sempre più vicina.

Le perplessità di quanti, siano essi comuni cittadini, associazioni ambientaliste o gli stessi stati, che a più riprese prendono impegni verso la neutralità climatica stanno portando a condannare sempre più spesso l’ecosistema delle criptovalute. Per la grande mole di calcoli che devono gestire per risolvere i problemi crittografici necessari a far girare la blockchain nel corso degli anni sta aumentando vertiginosamente ed allo stesso modo l’energia richiesta dai computer che sono utilizzati a tale scopo. Un cambio di paradigma su Bitcoin, da metodo rivoluzionario e democratico di distribuzione del valore, a mostro energivoro e inquinante è arrivata anche nel mondo economico finanziario. Il caso più clamoroso è quello di Elon Musk che, dopo aperto la porta ai pagamenti in Bitcoin per la sua Tesla, trascinando così il prezzo della criptomoneta a quota 58 mila dollari, ha poi improvvisamente deciso, il 12 maggio 2021 di interrompere le attività finanziare sulla criptovaluta più nota adducendo come motivazione proprio la sua dannosità per l’ambiente.